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Apicoltura contro il caporalato

Un incontro per raccontare i territori, testimoniare le condizioni di sfruttamento e le irregolarità lavorativa a cui sono costretti molti migranti da nord a sud Italia. E per dare una risposta, a partire dalle soluzioni offerte dal progetto Bee My Job. Si è tenuto online giovedì 10 giugno, l’incontro Apicoltura contro il caporalato, organizzato da Cambalache, con la partecipazione dei partner dell’edizione 2021 del progetto: la onlus Medici per i Diritti Umani e Saluzzo Migrante, presidio della Caritas di Saluzzo.

Un momento di approfondimento importante, per comprendere i territori dove si verificano situazioni di sfruttamento lavorativo e dove alto è il rischio di marginalità sociale. Luoghi in cui Bee My Job – realizzato quest’anno grazie al sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo – ha cercato di incidere per offrire nuove opportunità e percorsi di inserimento positivi e virtuosi.

“Nella zona della Toscana dove MEDU opera, tra Firenze, Prato e Pistoia, incontriamo persone in condizioni di marginalità abitativa che vivono situazioni di lavoro nero e grigio. Questo avviene in particolare nell’area del tessile di Prato e nel settore dell’edilizia, dove le persone hanno contratti molto brevi in cui vengono dichiarate poche ore, quando in realtà ne lavorano molte di più”, ha spiegato Serena Leoni, coordinatrice di MEDU a Firenze.

I ragazzi arrivati al progetto grazie a MEDU, che hanno iniziato il tirocinio, “si trovano molto bene, anche perché – ha proseguito Serena – abbiamo riscontrato come il settore dell’apicoltura sia estremamente umano per queste persone. Si tratta di un ambiente flessibile e accudente. Le aziende che hanno aperto le porte ai nostri ragazzi si sono fatte carico di tanti aspetti della loro vita, oltre alla dimensione puramente lavorativa. E devo dire che questo è umanamente gratificante“.

Sulla situazione relativa all’area di Saluzzo è intervenuta Virginia Sabbatini, di Saluzzo Migrante, che ha raccontato la particolarità di un distretto ortofrutticolo che racchiude una trentina di comuni nella provincia di Cuneo. “La nostra realtà, nata alcuni anni fa come unità di strada che prestava soccorso ai primi lavoratori agricoli senza dimora, incontra la parte più vulnerabile del bracciantato. Nel 2020 abbiamo raggiunto circa 800 persone, per lo più lavoratori stagionali provenienti dall’Africa subsahariana”. Una situazione dove è facile incontrare irregolarità. “Nel 100% delle situazioni – ha sottolineato Virginia – riscontriamo una condizione di grigio o quanto meno di sfruttamento. E anche il lavoro grigio, quando è sistematico , diventa vero e proprio sfruttamento“.

Per Cambalache è intervenuta Esther Garcia, referente della formazione e del matching tra partecipanti al progetto (quest’anno 14 ragazzi provenienti da 6 diversi Paesi) e aziende apistiche del territorio italiano. E ha sottolineato, tra i vari aspetti, l’importanza per l’Associazione di coinvolgere e inserire nel progetto aziende in grado di rispettare determinati requisiti contenuti nella Carta Etica stilata assieme all’UNHCR – Agenzia ONU per i Rifugiati.

“Non si tratta esclusivamente di requisiti tecnici – ha spiegato Esther – ma della possibilità di accogliere i ragazzi non solo come lavoratori in più, ma come qualcuno a cui insegnare un nuovo mestiere, accogliendolo in tutta la sua interezza, comprese le fragilità. Il progetto Bee My Job chiede alle aziende di sottoscrivere la Carta Etica, che le impegna, tra i vari punti, a rispettare i diritti umani, non discriminare per via della razza e delle diversità. Noi diamo alle aziende costante appoggio nel percorso di tirocinio, agendo come mediatrici tra datori di lavoro e ragazzi, ma chiediamo loro di cogliere tutti i bisogni di queste persone. Non offriamo manodopera a basso costo, ma vogliamo promuovere un cultura diversa che innesca uno scambio professionale e umano, arricchente per entrambe le parti“.

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