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Skill Me UP! e il Focus group per operatori dell’accoglienza. Per non essere soli davanti alla sofferenza

Confronto, ascolto, scambio per crescere insieme, per non essere più da soli davanti alla sofferenza. Fin dall’inizio il progetto Skill Me UP!, dedicato all’assistenza e all’inclusione di rifugiati e richiedenti asilo affetti da disagio mentale, aveva tra i suoi obiettivi quello di affiancare e sostenere gli operatori dell’accoglienza nel difficile compito di gestire situazioni umane complesse. Situazioni spesso condizionate da traumi, situazioni che necessitano attenzione e competenza. Lo strumento che il progetto ha messo in campo in questa direzione è lo sportello di ascolto per gli operatori, volto a garantire una continuità dell’assistenza e il monitoraggio di eventuali interventi “a domicilio”, ma anche per accogliere nuovi casi di vulnerabilità psicologica. Uno strumento di ascolto, arricchito però anche da momenti di confronto collettivo tra gli attori coinvolti. Ed è così che è nato il Focus Group per operatori dell’accoglienza, un ciclo di quattro incontri organizzati sotto la guida e la supervisione dei professionisti del Centro Migranti Marco Cavallo di Torino, che hanno messo a disposizione competenze ed esperienze in un ambito delicato e ancora troppo poco esplorato.

“Questi incontri hanno fornito la possibilità di creare uno spazio di confronto tra operatori e professionisti delle varie realtà territoriali, fuori dalle strutture dove gli stessi lavorano. Persone che difficilmente riescono a incontrarsi e parlarsi, benché condividano le medesime problematiche e necessità. Un approccio sicuramente innovativo”, spiega Viola Galleano, psicologa e psicoterapeuta, specializzata nella cura degli effetti della traumatizzazione: traumi acuti, traumi complessi e disturbi dissociativi., che ha condotto il terzo incontro dal titolo “Vulnerabilità e trauma in ottica terapeutica e transculturale”, affiancata dall’antropologa Martina Laganà.

Gli incontri sono stati molto partecipati, con operatori provenienti anche da altre province, come Lodi, Asti e Torino, e professionalità del terzo settore, ma anche degli enti pubblici, oltre che della équipe multidisciplinare creata ad hoc per il progetto Skill Me UP!.

Il trauma è stato l’elemento attorno a cui lavorare. Come spiega la stessa Galleano, i percorsi migratori non sono necessariamente un trauma in sé, ma spesso purtroppo sono costellati da episodi traumatici. E il trauma è un’esperienza in cui si percepisce una minaccia per la propria esistenza unita a un senso di impotenza, di impossibilità di portare a compimento un’azione. Nella persona che subisce un trauma si attivano internamente dei meccanismi fisiologici di difesa della sopravvivenza, che poi – essendo bloccati – rimangono internamente disregolati.

“Quella che abbiamo affrontato – prosegue la psicologa – è una tematica complessa. Che riguarda i processi migratori, le storie delle persone che arrivano qui e gli effetti che esse hanno all’interno degli individui. Ma anche, e qui veniamo alla figura dell’operatore, l’impatto che queste vicende hanno su chi lavora nell’accoglienza. Durante l’incontro che ho curato, abbiamo dapprima cercato di raccogliere le aspettative per farci un quadro di ciò che sarebbe stato utile per affrontare le varie situazioni. E poi abbiamo introdotto degli strumenti per la lettura e per la gestione di certi tipi di reazioni emotive. Abbiamo ragionato sull’impatto che il trauma può avere sul sistema fisiologico e neurofisiologico e di come questo possa comportare un risvolto emotivo e relazionale, anche all’interno della relazione di cura in cui gli operatori si trovano coinvolti”.

Si parla di “trauma vicario”, ossia il fatto che le esperienze traumatiche possano avere anche un impatto emotivo, psicologico e sociale su chi si trova a “prendersi cura” quotidianamente della persona, che inevitabilmente assorbe certi tipi di situazioni e tende a portarle dentro. Il problema centrale, spiega ancora la psicologa, “è il senso di solitudine degli operatori: la complessità della gestione della sofferenza delle persone che arrivano qui, ma anche la difficoltà di costruire e mantenere una rete sul territorio, e di dar vita a un dialogo con i servizi. Ed è così anche quando ci si trova a gestire situazioni estreme. Proprio per questo un progetto come quello ideato da Cambalache è fondamentale”.

A confrontarsi durante gli incontri sono state diverse realtà territoriali, con operatori che si occupano di varie tipologie di accoglienza, nuclei familiari, donne, minori stranieri non accompagnati, uomini soli. “Sono rimasta molto colpita – conclude Galleano – dalla capacità di questo progetto e di Cambalache di saper cogliere le esigenze del territorio in ottica prospettica, con grande attenzione ai percorsi individuali e alle reti di accoglienza. Si è creato un connubio di ingredienti molto particolare, che evidenzia un progetto curato nel dettaglio e pensato in ottica terapeutica in senso lato, anche dal punto di vista sociale e civile”.

L’équipe multidisciplinare, nata per seguire il progetto Skill Me UP! e costituita da risorse interne a Cambalache e da professionisti esterni, resta attiva per fornire consulenze e per affiancare gli enti gestori dell’accoglienza in caso di necessità. Per ogni informazione o richiesta è possibile scrivere a skillmeup@cambalache.it  

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