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The Climate Limbo, il nuovo documentario di Cambalache su migrazioni e cambianti climatici

Il crescente ruolo dei cambiamenti climatici sta dimostrando un impatto sempre più forte sulle migrazioni interne e transfrontaliere dei Paesi in via di sviluppo. Tuttavia, ancora non esiste un riconoscimento della condizione dei rifugiati climatici nel sistema di asilo internazionale. Sono persone di cui nelle società del Nord del mondo diventa difficile anche solo percepire la voce. Sono persone che vivono in un limbo. Ma i migranti ambientali ci sono, così come ci sono i cambiamenti climatici, lampanti nelle manifestazioni più drammatiche, silenti nei mutamenti che tuttavia hanno effetti gravi sull’ambiente e la biodiversità.

Proprio su queste tematiche si concentra il nuovo documentario promosso dall’Associazione di Promozione Sociale Cambalache, The Climate Limbo, realizzato da Dueotto Film, scritto da Elena Brunello, con la regia di Paolo Caselli e Francesco Ferri. Un progetto finanziato attraverso il Consorzio delle Ong Piemontesi da Frame, Voice, Report! con il contributo dell’Unione Europea. Dopo mesi di lavorazione in varie zone d’Italia, il documentario è pronto e sarà proiettato in anteprima ad Alessandria – città dove ha sede Cambalache – in occasione della giornata del 15 marzo, in cui si tiene il Global Strike For Future, lo sciopero globale degli studenti lanciato per sensibilizzare sulla tematica dei cambiamenti climatici. Due le proiezioni, alle ore 18 e alle ore 18.45, nella sede di Cambalache, in via Santa Maria di Castello 30.

“Sappiamo che il cambiamento climatico è colpa dell’Uomo. Io dico che questa è una buona notizia dopotutto, al contrario di quello che si possa pensare. Perché se fosse stato per cause naturali, estrinseche all’Uomo, non avremmo potuto fare niente. Invece, avendolo causato noi, sappiamo anche come poterlo fermare in tempo”, spiega Antonello Pasini, fisico del CNR, uno degli esperti che in The Climate Limbo aiuta a comprende la connessione tra cambiamenti climatici e azione umana. Un’azione sempre più incisiva, che agisce sull’ecosistema globale, dove i processi di cambiamento ambientale a lungo termine ed eventi naturali improvvisi e in rapida evoluzione si relazionano con le abitudini e i comportamenti delle società occidentali, capaci di avere effetti sulle vite degli abitanti di tutto il mondo.

In questo contesto si inseriscono le storie raccontate nel documentario. Quelle dei migranti, in fuga dalle proprie terre devastate e impossibili da vivere e per cui ancora è difficile ottenere un riconoscimento di protezione internazionale, e quelle degli agricoltori e allevatori italiani sul cui lavoro influiscono sempre di più i cambiamenti del clima. “Chi vuole costruire muri intorno all’Italia – spiega Anna Brambilla, avvocata, una vita dedicata ai diritti dei migranti – deve ricordarsi dov’è geograficamente il nostro Paese. L’Italia è nel Mediterraneo, un’area fortemente interessata dal cambiamento climatico. Quei muri che vogliamo costruire è possibile che un giorno siano i nostri figli a doverli superare”.

Raccontando vicende che vanno dalla Nigeria al Bangladesh, The Climate Limbo si spinge fin sui ghiacciai alpini, con immagini straordinarie, sotto la guida di Enea Montoli, glaciologo del Centro Euro Mediterraneo per il clima ed esperto di cambiamento climatico e migrazioni. ” La fusione dei ghiacci – spiega lo scienziato – comporterà danni sul turismo, sull’energia idroelettrica e l’approvvigionamento idrico”. Una situazione davanti alla quale nessuno può rimanere in silenzio e capire che non siamo onnipotenti, ma solo un pezzo della catena.

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