Ho collaborato con Cambalache nell’anno 2018. Ho coinvolto questa realtà nella realizzazione di un progetto di ricerca didascalico e fotografico dal titolo “The role of social and ecological experiences in reframing italian rural-urban dynamics”, supervisionato da Nora McKeon e Stefano Liberti. L’obiettivo del progetto è stato quello di raccontare le storie di tre esperienze cardine nella riformulazione delle dinamiche urbano-rurali in Italia, dal punto di vista agricolo, ambientale e sociale. Una di queste è stata proprio il progetto Bee My Job di Cambalache.
Nel reportage ho spiegato come il ritorno alla terra sia spesso percepito come il ritorno alla storia, alla cultura e alla tradizione di un determinato territorio. Questo vale per chi vi ha sempre vissuto e per chi vi è appena giunto, mosso da scelte obbligate ma coraggiose. In quest’ultimo caso, l’agricoltura rappresenta uno dei mezzi attraverso cui i migranti approcciano il paese e le comunità che li ospitano. È il caso di Bee My Job, un progetto che viene incontro alla necessità di rifugiati e richiedenti asilo di ricostruire il proprio futuro, prendendosi cura della natura, dell’ambiente circostante e di un settore, come quello dell’apicoltura, che sta progressivamente perdendo manodopera. In un presente in cui api e insetti impollinatori sembrano scomparire, minacciati dall’uso di pesticidi e dalla diffusione incontrollata di monocolture, così come in un contesto in cui la stigmatizzazione dei migranti è sempre più dilagante, Bee My Job porta un messaggio importante: c’è ancora spazio per esperienze basate sulla solidarietà che mettono in relazione diversi modi di pensare e persone rimasti finora separati, dove il lavoro umano non è sinonimo di sfruttamento e ghettizzazione, bensì dinamica virtuosa di conoscenza reciproca e recupero di territori periurbani e rurali.
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