Dieci mesi fa su una «big boat» – la grande barca, come la chiama lui – supplicava Dio che lo aiutasse a sbarcare in Italia: ci sono voluti una settimana e 3 giorni di traversata, stipato tra altri profughi, molti dei quali sulla terra ferma alla fine non ci sono mai arrivati. Oggi la sua preghiera è diventata una canzone, un inno alla sopravvivenza: «Si chiama Glory, ho appena finito di inciderla». Festus Otobo, 26 anni, nigeriano di Lagos dall’ugola d’oro, lo racconta, affamato di riscatto, nell’attesa del suo turno ai casting di X Factor. È il numero 35.251, prima di esibirsi resta in coda 12 ore nell’atrio tutto vetri del palazzo Lombardia, a Milano, tra gonfiabili a forma di X, eccentrici compagni di avventura (quel giorno passano in 2500), e profumo di successo.
Effetto stupore: pensate a un bambino dentro la casa di Babbo Natale per la prima volta. Ecco Festus, in arte Jay Prince. Consegna i suoi dati, sintetizza la sua storia in poche righe sul modulo per la registrazione, sporge il permesso di soggiorno. Questa volta, ad ascoltarlo non ci sono i poliziotti dell’ufficio immigrazione, ma hostess sorridenti e vocalist incuriositi. Canta e incanta, con “African Queen” (clicca qui: mentre la suona per gli amici ad Alessandria), hit nigeriana, omaggio alla sua terra dal sound dolce. E poi «Rich and famous». Gli chiedono di sciogliersi e lui si lascia andare con mosse da rapper: targhetta al collo («Comprata al Balon di Torino»), occhiali grandi, sguardo pulito, appena smarrito, pare già un videoclip. Suona il piano e la chitarra: «Ma non l’ho portata perché non ho la custodia». I soldi sono quelli che sono: o la chitarra o la custodia. Festus oggi vive ad Alessandria, tutti i fine settimana va in treno a Torino in sala d’incisione. Le spese per la chance di X Factor, e per coltivare il suo sogno musicale, se le paga lui: «In Nigeria era parrucchiere, qui taglia i capelli agli altri rifugiati e anche così ha messo da parte un po’ di euro», dice Mara Alacqua, presidente dell’associazione Cambalache che in città aiuta i profughi. Sta facendo poi uno stage come meccanico. Ma è sulla voce che scommette. Il tallone d’Achille? L’italiano. In viaggio verso Milano c’è anche l’avvocato Mariagrazia Marelli, volontaria di Cambalache (nella foto sotto): «Forza, Festus, ripeti la prima strofa: “Penso che un giorno così non ritorni mai più…”», sulla metro gli scrive anche le parole sopra un foglietto di carta. Gli altri pendolari sono il suo primo pubblico.«Volare», in realtà, è l’opzione di riserva: «Voglio cantare Gianna Gianna», dice lui, ma all’alba del giorno del casting le parole gli si accavallano ancora in testa. «Troppo difficile» ammette il profugo con la passione per Rino Gaetano. Volare, 13 parole: «Va bene – accetta – ma la faccio a modo mio». Non resiste alla tentazione di rappare, solo che poi si inciampa su «felice di stare lassù», che diventa «facile». A Lagos aveva inciso un cd rap con 7 tracce, era famoso: «Ho cantato anche in una pubblicità». Figlio unico, i suoi genitori sono morti quando aveva 10 anni. A crescerlo, lo zio che un giorno la mafia ha ucciso, sotto i suoi occhi. Unico, scomodo, testimone, giovanissimo, Festus è dovuto scappare. Per vivere suonava nei club, ma una sera tra il pubblico ha riconosciuto i mafiosi. Altra fuga. Verso l’Italia, questa volta.
«La musica è la mia salvezza». In tutti i sensi. Ora sogna di realizzare un videoclip della sua Glory: «Racconta la mia storia, vorrei girarlo in mare, mettere immagini del viaggio dalla Libia». Il suo passato fa del suo presente un candidato speciale: tra gli altri aspiranti cantanti, nell’attesa accampati, si meraviglia per tutto. Arriva Giosada, il vincitore della scorsa edizione, e scatta la foto. Poi guarda Cattelan che registra la puntata, non sa chi sia, ma gli piace che arrivi da Tortona: «Vicino Alessandria», dove la notte, mentre gli altri profughi dormono, lui compone le sue canzoni. Per Festus, il provino è già una festa, nonostante quel «le faremo sapere» finale.«Penso che un giorno così non ritorni mai più…» è il leit motiv del viaggio di ritorno. Già, una volta a casa su Facebook scrive: «It was the best day of my life», in inglese.
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