di William Lacy Swing, Direttore Generale dell’OIM, Organizzazione Mondiale per le Migrazioni, articolo comparso il 17 dicembre 2014 su “The New York Times”.
<<GINEVRA- In mezzo alla moltitudine degli orrori della Seconda Guerra Mondiale, poco risveglia la coscienza umana come i viaggi delle navi dei rifugiati i cui passeggeri morirono fuggendo dalla guerra, dagli omicidi di massa e dal genocidio: la nave Mefkure, affondata nel 1944 nel Mar Nero, trasportando 300 vite umane, o la nave Struma, con quasi 800 morti in quelle stesse acque due anni prima.
Poi ci fu la famosa nave St. Louis, che nel 1939 lasciò Amburgo diretto a L’Avana, con più di 900 profughi tedeschi a bordo. Essi furono costretti a tornare in Europa dopo che Cuba, USA e Canada rifiutarono di lasciar loro la possibilità di restare sul loro territorio nazionale. Sappiamo che centinaia di quelli che tornarono morirono durante la guerra.
Eppure quelle tragedie non sono niente in confronto a quello che sta accadendo oggi. Nel 2014 più migranti sono morti in viaggio – quasi 5000 – rispetto al numero di passeggeri ed equipaggio che morì durante quei tre viaggi.
I migranti possono morire a centinaia, come è accaduto nel mese di settembre, quando in più di 500 hanno perso la vita al largo delle coste di Malta. Ma muoiono anche a decine, quasi ogni giorno, scomparendo nelle acque del Mediterraneo e del Mar Rosso, dei Caraibi, del Golfo di Aden e del Golfo del Bengala.
Il nostro gruppo, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, ha presentato dati che mostrano che il 2014 è l’anno più letale per i migranti. I nostri dati definitivi, da pubblicare a fine mese, raddoppiano i 2.378 morti riportati lo scorso anno. Nel solo Mediterraneo quest’anno, circa 3.400 migranti, uomini donne e bambini sono morti annegati – un aumento di cinque volte rispetto al 2013. Nel complesso, il numero di morti di migranti nel 2014 a terra e in mare arriva a 4.868 persone.
Il 2015 sarà peggio? Potrebbe esserlo, a meno che non ci impegniamo a cambiare il modo di vedere la migrazione e il modo in cui la gestiamo.
Per prima cosa, facciamo il punto. La migrazione non è una catastrofe, né un’invasione. Spesso, non è nemmeno un’emergenza. Si tratta, come è sempre accaduto nel corso della storia, di una cosa inevitabile. Le persone si spostano per migliorare la loro vita, se ciò significa un migliore accesso al cibo o semplicemente una possibilità di sopravvivere ai conflitti. L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni calcola che almeno 232 milioni di persone vivono oggi al di fuori della loro patria. Eppure, solo una frazione di questi sta fuggendo dalla sofferenza, ciò che noi consideriamo la migrazione “per disperazione”.
In secondo luogo, dobbiamo riconoscere i molti fattori che stanno dietro all’ondata migratoria. La demografia è il principale. Per la maggior parte, la migrazione è un sottoprodotto del quadruplicamento della popolazione umana in un solo secolo, un evento senza precedenti nella vita della nostra specie.
L’aumento del consumo globale significa un aumento della domanda di lavoro internazionale, che offre ai cittadini dei paesi poveri la prospettiva di un aumento dei redditi delle loro famiglie. Ciò porta alla migrazione di ricongiungimento familiare o, nel caso di individui, al desiderio dei giovani di cercare all’estero una carriera, una migliore istruzione o semplicemente un account Facebook per connettersi con i coetanei che hanno già migrato a nuova vita.
Questo fa parte di un altro fattore chiave: la comunicazione. I progressi della tecnologia non solo diffondono notizie di nuove opportunità più velocemente che mai in tutto il mondo. Fanno anche girare più rapidamente il denaro per quegli imprenditori, legali e non, che muovono i migranti e mettono loro a portata di mano quelle nuove opportunità.
Ciò porta a un compito a cui non ci si può sottrarre: riscoprire la nostra compassione. Purtroppo, la migrazione di massa ha portato a una crudele ironia: l’aumento del sentimento anti-migranti senza precedenti in tutto il mondo. Certamente i paesi hanno il diritto, anzi l’obbligo, di controllare i propri confini. E, sì, crisi economiche rendono gli immigrati capro espiatorio facile per la disoccupazione o salari bassi. Parlando di problemi di sicurezza che il post 11 settembre comporta, non è difficile capire perché l’indifferenza alle difficoltà dei migranti ha portato a ostilità, paura e resistenza al loro arrivo.
Ma questa è solo una spiegazione che non possiamo più accettare.
Sempre più spesso si vede come le politiche che criminalizzano la migrazione portano a conseguenze letali. I migranti, incapaci di trovare mezzi di trasporto sicuri e legali, si rivolgono ad alcune delle più feroci bande criminali del pianeta che spesso arrivano a commettere atti sconsiderati, anche omicidi.
A Lampedusa, in Italia, lo scorso anno ho visto come 366 corpi sono stati preparati per la sepoltura, vittime di criminali senza scrupoli in Libia, disposti a caricare i migranti su navi non sicure dirette in Europa. Un anno dopo la tragedia non ha fatto altro che peggiorare, con molti altri terribili episodi di naufragio. Spesso i passeggeri stessi realizzano quando le barche sono insicure e si rifiutano di salire a bordo. Frequentemente questi vengono malmenati, torturati e gettati a forza in mare.
L’ Organizzazione Internazionale per le Migrazioni ha sentito parlare di crimini quasi identici che si svolgono al largo delle coste del Bangladesh e della Thailandia, e recentemente ha descritto la crescente ondata di morte sulle rotte che collegano il Corno d’Africa con la Penisola Arabica.
La storia ci insegna che chiudere i nostri cuori alle disgrazie altrui è una ricetta per il disastro. Purtroppo questo è ciò che sta accadendo in molte parti del mondo, con conseguenze evitabili e tragiche per i migranti in cerca di salvezza.>>
Per consultare l’articolo originale: http://www.nytimes.com/2014/12/18/opinion/a-vast-migration-tragedy.html?_r=0
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