“L’assunto secondo il quale “siamo ciò che mangiamo” si coniuga anche all’imperfetto: eravamo ciò che mangiavamo.La cucina famigliare, le ricette materne sono la nostra identità e le nostre radici. Sono una piccola memoria portatile di ciò che il caso, il luogo di nascita, il destino hanno fatto di noi. E subiscono la nostra identica sorte, mutando col mutare della vita.” (Marco Aime, “Eccessi di culture”).
Cibarsi è un atto essenziale per la nostra permanenza in vita, che, in apparenza meramente fisiologico e materiale, è invece carico di significati culturali, sociali e simbolici per le diverse società umane: “Il cibo è in ogni luogo e in ogni epoca un atto sociale” (Barthes, 1988). È consolidata l’idea che nel cibo siano stratificate memoria e identità: il cibo è lo specchio di stili di vita individuali, ma anche di cultura collettiva.
Il cibo è centro dell’interazione a tavola, portatore di messaggi di benvenuto nei rapporti di ospitalità, distinzione sociale e d’identità etnica. Condividere il cibo è universalmente, uno dei modi fondamentali in cui si possono mostrare, stabilire, mantenere rapporti interpersonali. Il termine compagno, riscontrabile in diverse lingue, deriva dal latino cum-panis, che significa “dividere il pane con”, considerato un atto simbolico che veicola amicizia, confidenza, intimità. Noi ci auguriamo, mangiando e condividendo, che il cibo consumato insieme diventi vita collettiva. Ciascuno mettendo a disposizione degli altri l’identità di cui è fatto.
Estratti da “Cum-panis. Storie di fuga, identità e memorie, in quattro ricette”
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