Ciao! Mi chiamo Alagie (il mio nome si pronuncia Alàji).
Sono maggiorenne, ho 18 anni.
Sono nato in Gambia, a Dippa Kunda, vicino a Serekunda. In Gambia ci sono tante città che finiscono in “Kunda”, perché in mandinka significa “centro abitato”.
Ho frequentato solo la scuola elementare perché in famiglia non avevamo molti soldi.
I miei genitori non sono gambiani: provengono dalla Sierra Leone e prima che io nascessi si sono rifugiati in Gambia per fuggire dal conflitto scoppiato nel loro paese. Mio padre esportava cereali, ma a causa di problemi di salute morì quando io ero bambino. Mia madre allora ha cominciato a vendere frutta al mercato per mantenere me e mia sorella.
Mi manca mia sorella, ha 16 anni e mi somiglia. E’ uguale a me, solo che ha i capelli!
Dopo la morte di mia madre, io e mia sorella non potevamo più vivere in tranquillità, essendo figli di rifugiati e senza genitori: non avevamo libertà né possibilità.
Abbiamo deciso di scappare, ma siamo riusciti a trovare i soldi solo per uno di noi. I soldi per il viaggio me li ha dati l’allenatore della squadra di calcio in cui giocavo. Sono partito con mio cugino, che io chiamo fratello, e abbiamo attraversato in poco tempo Senegal, Mali, Burkina Faso e Niger fino ad arrivare in Libia.
Mi sono fermato solo quando i soldi erano finiti, per lavorare e guadagnare il necessario per proseguire.
In Libia ho rischiato di andare in prigione più volte: mentre sei su un mezzo di trasporto i libici ti fermano, e puntandoti le pistole ti chiedono denaro. Io sono riuscito più volte a scappare. Spostarsi era un problema. Vivevamo la maggior parte del tempo ammassati in piccoli compound per non rischiare, stando in strada, di essere attaccati, derubati o uccisi.
Conosco il mestiere di sartoria e sono andato in capitale per cercare lavoro. L’unico che ho trovato è stato in un lavaggio auto, e lì ho lavorato tre mesi finché ho accumulato il denaro sufficiente per ripartire. Volevo raggiungere l’Italia. Avevo visto cose belle alla televisione, e per me l’Italia corrispondeva alla salvezza.
Sulla barca eravamo tantissimi. Mi è capitato un posto nella stiva. Si soffocava lì dentro. Eravamo soprattutto uomini dell’Africa occidentale. Gli unici con donne e bambini erano i siriani. Durante i tre giorni di viaggio, in pessime condizioni, tante persone hanno avuto delle liti. Il secondo giorno tutti hanno cominciato a gridare e lamentarsi.
Quello che succede sui barconi solo il mare lo sa.
Quando ho visto le luci delle navi italiane non mi sembrava vero.
In Italia sono stato salvato e portato ad Alessandria. Qui vado a scuola e faccio volontariato al canile della città: pulisco le cucce, gioco con i cani e li nutro. In Gambia avevo due cani, il mio preferito era di colore marrone e si chiamava Whiskey.
Vorrei restare qui, si è al sicuro e c’è la pace.
La gente mi sorride e al parco i ragazzi ormai mi conoscono e mi salutano dicendomi “ehi fratello!”
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